Vite da briganti. Gasparone, Tiburzi, Musolino (eBook)

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Lingua: it
Curatore: Vignola Beniamino
Editore: Einaudi
Collana: Einaudi. Stile libero. Criminali
Codice EAN: 9788858444269
Anno pubblicazione: 2023
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Descrizione

«Criminali», di Einaudi Stile Libero, curata da Beniamino Vignola, raccoglierà storie vere, forti, a volte crude, veicolate attraverso cronache, reportage, biografie, atti processuali, racconti, romanzi brevi. Testi agili, svelti, che non superano le 100 pagine; opere spesso frutto di ricerche pazienti negli archivi o ingegnose invenzioni d'autore, che giocano tra il vero autentico pulp storico e la memorialistica a volte morbosa. Questo testo, che prende le mosse dalle pagine di Delitti vecchi e delitti nuovi di Cesare Lombroso (è lui il criminale protagonista di questo librino), racconta la vita di alcuni dei piú famosi briganti che percorsero la storia del Risorgimento italiano: Gasparone, Tiburzi, Musolino. I delinquenti erano, per Lombroso, di volta in volta gli zingari, le prostitute, i tatuati, i mancini... gli ebrei... i ciclisti. Ci addentriamo in questo divertente ciarpame scoprendo che per i briganti ha una sospetta simpatia. Specie per Tiburzi, che «esercitava perfino la polizia negli scioperi, obbligando i mietitori scioperanti a tornare al lavoro, col solo dispiegamento... delle forze sue proprie». Possiamo senz'altro ritenerlo responsabile quanto meno del campo libero lasciato agli psichiatri con la legge del 1904 all'interno dei manicomi criminali, che diede loro l'unica autorità per definire e trattare le cause del comportamento criminale (posizione che Lombroso sostenne dai suoi primi giorni di insegnamento fino alla sua morte). Alle pagine che dedica loro Lombroso abbiamo però voluto aggiungere altre testimonianze dirette: per sottolineare che ai briganti non dobbiamo voler bene. Sono parte integrale di quella «mafiosa leggenda» che percorre la storia dell'Italia da ormai troppo tempo per non riconoscerne d'istinto i tratti. Nelle loro «gesta» l'omertà, la legge della vendetta, la faida, in una parola la «picciotteria» sono vividamente riconoscibili. Va tutta in questa direzione la requisitoria del Pubblico ministero Pasquale Sansone, calabrese, al processo del giugno 1902 contro Giuseppe Musolino. Conclude Sansone: «Nella patria mia, nella bella terra di Calabria, un'idra funesta, la picciotteria, con l'alito suo mefitico avvelena il forte e generoso abitatore di quelle contrade. Essa è padrona del campo, si infiltra in tutto l'ambiente sociale, contamina le stesse pubbliche amministrazioni sicché per opera sua, noi abbiamo sentito, che partiti amministrativi furon sorretti, o rovesciati, che sindaci furon abbattuti o pugnalati. Per opera di questa società, noi sappiamo che il terrore è in quelle contrade; sicché titubanti vengono qui i testimoni a deporre sulla sua esistenza e sulle gesta di coloro che a quella società appartengono. La picciotteria si propone il mutuo soccorso della prepotenza. Essa ha capi e gerarchie, ha luoghi di riunione e scuole per la scherma al coltello e al bastone, ha gerghi e segni convenzionali, ha tasse di entrata e mensili, ha giudizi e pene contro i suoi soci, o contro coloro che osteggiano i fini turpissimi della setta e fra le pene sono l'espulsione, lo sfregio, la morte». Non so se vedete dei tratti di modernità.