Ein "Montageapologet"? (eBook)

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Stefan Krause
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Lingua: TED
Editore: GRIN Verlag
Codice EAN: 9783640904136
Anno pubblicazione: 2011
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Descrizione

Studienarbeit aus dem Jahr 2011 im Fachbereich Medien / Kommunikation - Film und Fernsehen, Note: 1,0, Friedrich-Schiller-Universität Jena, Veranstaltung: Hauptseminar "Klassiker der Filmphilosophie", Sprache: Deutsch, Abstract: Im Juni 1926 tritt der angesehene ungarische Filmkritiker und -theoretiker Béla Balázs vor das Publikum, das sich im ‚Klub der Kameraleute Deutschlands’ versammelt hat, und hält den Vortrag ‚Filmtradition und Filmzukunft’. Eine Passage der Rede, später selbstständig unter dem Titel ‚Produktive und reproduktive Filmkunst’ verbreitet, diskutiert u. a. „zwei wunderbare[…] Aufnahmen aus dem PANZERKREUZER POTEMKIN“, dem gerade in Deutschland in den Kinos laufenden großen Film des sowjetischen Regisseurs Sergej Eisenstein. Balázs konnte wohl kaum die auf dem Fuße folgende heftige Reaktion Eisensteins voraussehen, in der dieser dem gebürtigen Ungarn bildlich vorwarf, „die Schere“ vergessen zu haben. Der ‚Disput’, den Loewy immerhin als „legendären Streit“ bezeichnet, wirkt auf den ersten Blick wie eine randständige Anekdote. Eine kleine Auseinandersetzung, die durch ihre prominenten Akteure in Erinnerung geblieben ist, zumal sie nur aus zwei relativ kurzen Texten besteht. Doch würde man die Angelegenheit damit zu leitfertig abtun. Allein die Tatsache, dass die Kontroverse über Jahrzehnte hinweg immer wieder das Interesse geweckt hat, lässt doch die Frage aufkommen, ob mehr dahinter steckt. Wie Diederichs meint, kann die „Entwicklung der ersten 40 Jahre filmästhetischer Theorie“ in vier Stufen unterteilt werden: die der „Diskussion der Kunstfähigkeit des Films“, der „Schauspielertheorie“, der „Kameratheorie“ und der „Entwickelte[n] Formtheorie“. Dabei gilt ihm Balázs’ Buch ‚Der sichtbare Mensch’ als „das Haupt- und Abschlusswerk der ‚Schauspielertheorie’“, das Balázs-Werk ‚Der Geist des Films’ als Werk der dritten Stufe, der ‚Kameratheorie’, in dem Balázs „selbst zum Montageapologeten geworden“ sei und gleichzeitig die Montagetheorie Eisensteins, „die praktische Umsetzung der intellektuellen Montage als Hieroglyphenfilme und Bilderrätsel“, kritisiere. Man kann die Ereignisse des Jahres 1926 somit auch als Auseinandersetzung um die Deutungshoheit in der Filmtheorie interpretieren, als einen Schritt in Balázs’ Entwicklung von der ‚Schauspieler-‚ zur ‚Kameratheorie’. Hat Balázs also unter dem Einfluss Eisensteins seine ‚Bekehrung’ zur Montage erfahren, deren Extreme im Werk Eisensteins aber gleichzeitig abgelehnt? Wie stark mischen sich dann im zweiten Werk des Exil-Ungarn die eigenen Theorien aus ‚Der sichtbare Mensch’ mit den Ansichten des Sowjet-Regisseurs?