Die Kierkegaard-Rezeption in Max Frischs "Mein Name sei Gantenbein" (eBook)

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Dirk Bessell
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Lingua: Tedesco
Editore: GRIN Verlag
Codice EAN: 9783638622370
Anno pubblicazione: 2007
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Descrizione

Zwischenprüfungsarbeit aus dem Jahr 2001 im Fachbereich Germanistik - Neuere Deutsche Literatur, Note: 1,3, Heinrich-Heine-Universität Düsseldorf, Veranstaltung: Thematisches Proseminar "Max Frischs Spätwerk: 'Mein Name sei Gantenbein'", Sprache: Deutsch, Abstract: Max Frischs »Mein Name sei Gantenbein« entstand in den Jahren zwischen 1960 und 1964. Es ist der dritte große Roman Frischs nach »Stiller« (1954) und »Homo faber« (1957) und bildet mit letzteren in dem Sinne eine Trilogie, als dass in diesen Prosawerken Frischs der Identitätsproblematik des Menschen eine dominierende Stellung zukommt, im »Stiller« und »Gantenbein« modellhaft thematisiert anhand der Ehe als zwischenmenschliche Beziehung, im »Homo faber« anhand eines auf eine technisierte und kontrollierte Umwelt Vertrauenden, dem dennoch ein unglaubliches Schicksal widerfährt, nämlich die Liebesbeziehung zu dessen eigener Tochter. Eng verbunden mit dieser Problematik der Selbstwerdung ist auch die oftmalige Widersprüchlichkeit von faktischer und erlebter Wirklichkeit der Figuren, also das Missverhältnis zwischen »innerer« und »äußerer« Realität. Während im »Stiller« und »Homo faber« noch ein Romangeschehen im herkömmlichen Sinne zu verfolgen sind und der Leser – typisch für einen Illusionsroman – eingeladen wird, sich mit einer der Figuren zu identifizieren um so Mitwisser oder gar Mitspieler zu werden, ist davon im »Gantenbein« nichts mehr vorhanden. Die Ausgangsposition des Romans: ein Mann sitzt von der Ehefrau verlassen in der leeren Wohnung und fragt sich, was geschehen ist. Nun wird nicht das Geschehene faktisch rekonstruiert, sondern anhand von Überlegungen des Ich-Erzählers an fiktiven Figuren gespiegelt.