ISTINTI E PECCATI (eBook)

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Luigi Capuana
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Compatibilità: Tutti i dispositivi
Lingua: it
Editore: NICCIA
Codice EAN: 1230003784921
Anno pubblicazione: 2020
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Descrizione

DAL LIBRO: Contrariamente alla sua volontà, erano accorsi a riceverlo alla stazione. Più di trecento. Bandiera, anzi, làbaro rosso con le insegne dei diversi mestieri: un martello, una sega, una cazzuola, una zappa — e una dozzina di musicisti della Società dei lavoratori che facevano anche parte della Banda comunale. Gli altri, compreso il Grancassa, come lo chiamavano, si erano rifiutati d'intervenire perchè appartenenti alla Lega dei forti, sdegnosi di avere qualcosa da fare con quei scavezzacollo che tenevano in subbuglio il paese. Donato Mirone aveva scontato sei mesi di carcere per ribellione contro i carabinieri, ai quali voleva impedire l'arresto di un compagno in una rissa. Tornava con l'aureola di martire, e i soci avevano stimato di non lasciar passare inutilizzata questa bella occasione di protesta contro le sopercherie delle autorità che pretendevano d'intromettersi anche nelle faccende private. Si trattava di gelosie, per donne; e forse — secondo loro — quattro scappellotti, quattro pugni e anche, se si vuole, una piccola coltellata avrebbero calmato gli animi assai meglio delle manette, delle ore passate in caserma, della sentenza del Pretore e della conseguente irritazione per la vigliacca condanna! Vigliacca, sì, perchè ci si erano messi in mezzo il Sindaco, gli Assessori, il barone Caruso, per invidia contro Donato Mirone, che non era neppur consigliere comunale — se avesse voluto sarebbe arrivato ad essere il capo del paese — e aveva intanto più influenza di tutti quei signori, e li teneva in un pugno, voluto bene e quasi adorato dal popolo di cui si era costituito protettore e benefattore. Il Sindaco ed il Brigadiere dei carabinieri, di accordo, avean fatto finta di non avvedersi del tramenìo di Cecco Svampa e di Nino Bertolone per preparare l'accoglienza trionfale al loro Presidente. Si tenevano pronti pel caso che la dimostrazione volesse eccedere. Infine Donato Mirone era un brav'uomo, un po' esaltato, un po' sciocco, che si lasciava mangiare il ricco patrimonio dagli scaltri volponi che gli stavano attorno. Svampa, Bertolone e qualche altro gli si erano appiccicati alle costole, e la Società dei lavoratori fruttava ad essi, che non lavoravano punto, assai più che non ai poveri diavoli di operai e di contadini dei quali fomentavano gli appetiti con le promesse del Sole dell'avvenire. Il Sindaco, qualche Assessore avean tentato più volte di aprire gli occhi a quell'illuso, di attirarlo dalla parte loro, mostrandosi pronti ad assecondarlo nelle sue fantasticherie di rifare l'umanità, come quegli predicava. Ma Donato Mirone aveva sempre risposto: — Lasciatemi oprare a modo mio quel po' di bene che mi riesce possibile. Io non v'impedisco di amministrare a piacer vostro il patrimonio del Comune; e, dove posso, secondo le mie convinzioni, vi aiuto. Non ho istituito a mie spese la scuola serale per gli adulti? Ma era stata appunto quella scuola il pomo, come suol dirsi, della discordia. Due volte al mese egli si sostituiva al maestro e predicava il vangelo socialista di cui era divenuto l'apostolo. Ordinariamente le sue parole venivano fraintese dagli operai, dai contadini, tratte, con logica stringente, fino alle loro ultime conseguenze, mettendolo nell'imbarazzo di quasi disdirsi col cercar di attenuarne il significato.