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Tragedia in tre atti di Luigi Pirandello, rappresentata a Milano il 24 febbraio 1922.

La storia
Un giovane, mentre prende parte a una cavalcata in costume, nei panni di Enrico IV imperatore di Germania, viene sbalzato da cavallo, batte la testa e impazzisce. Da quel momento, crede di essere veramente Enrico IV, esigendo rispetto per il suo ruolo regale. La finzione è pietosamente assecondata da parenti e amici, che trasformano la sua villa in una reggia, e lo circondano di servi travestiti da cortigiani; in questa corte fittizia Enrico IV (l'autore non cita mai il nome che egli aveva in precedenza) vive per dodici anni finché, a un tratto, rinsavisce. Si ritrova già maturo, senza avere vissuto la giovinezza, e ormai è solo; Matilde Spina, la giovane marchesa che lo accompagnava la sera della cavalcata, è diventata l'amante di Belcredi, odiato rivale, colui che provocò la sua caduta per sbarazzarsi di lui. Escluso dalla vita, egli decide di farsi credere ancora pazzo e guardare la vita curiosamente dal di fuori, ora che la vita gli è ormai negata.

A questo punto comincia il dramma; arrivano al castello la bella ma ormai attempata Matilde con la figlia Frida, il fidanzato di questa, Belcredi e un medico che si propone di guarire colui che è creduto folle. L'udienza con l'imperatore (Matilde sotto le vesti della contessa Matilde di Toscana, e Belcredi in tenuta da Pier Damiani) è drammatica e preparatoria. Enrico IV si diverte a condurre un gioco enigmatico con la loro ragione, rivolge a Matilde discorsi allusivi che le danno l'impressione che egli l'abbia riconosciuta. Il medico, che osserva il caso con rigore scientifico, non dubita di quella pazzia, ma crede che basterà un semplice esperimento per rendere a Enrico IV la ragione: preparerà un incontro fra Enrico IV, la marchesa Matilde e la figliola Frida, vestite entrambe da contessa Matilde di Toscana; facendogli ravvisare nella figlia le fattezze della Matilde di un tempo (che lo fiancheggiava a cavallo in quella tragica sera), riporterà il folle a quel momento e gli permetterà di riprendere, a partire da quel momento di trauma, una nuova vita.
"Come un orologio che si sia arrestato a una cert'ora, e che si rimetta a segnare il suo tempo, dopo un cosi lungo arresto".

Ma Enrico, mentre i preparativi fervono, si e già rivelato ai suoi servi. Sconvolto dalla vista di Belcredi, egli confessa di non essere più pazzo e avvisa che la mascherata sta per finire. Arriva Frida. Travestita da contessa Matilde, ha preso il posto di un grande dipinto raffigurante la contessa; quando Enrico entra, ella lo chiama, e quella visione dà a Enrico un terrore folle, gli fa credere d'essere ancora pazzo e di vedere fantasmi. Gli altri irrompono: i servi hanno già rivelato tutto e, visto che la pazzia è finita, Belcredi e Matilda lo vogliono portar via con loro. Ma dove può andare, ormai, Enrico IV? L'ultima via di scampo è offerta da Frida; il tempo pare essersi fermato in lei, e rinasce in quest'ennesima finzione. Non impunemente, però. Enrico IV fa per abbracciare Frida e quando Belcredi cerca di impedirglielo lo trafigge con la spada. D'ora in avanti la pazzia sarà necessaria a Enrico IV come condanna e insieme liberazione.

Un'analisi
L'amarezza vibrante di questa tragedia porta a un risultato di limpida bellezza, a una catarsi vera e propria; forse in "Enrico IV" più che in altre tragedie, il pirandellismo vince i suoi schemi e attinge a una tensione interiore davvero universale. Anche se i motivi esteriori si rincorrono, neutralizzandosi (vita e forma, pazzia e ragione, realtà e finzione e le classiche antinomie pirandelliane), tutto si risolve in una appassionata, tormentata ricerca dell'uomo. Sui discorsi frivoli e pomposi di coloro che lo circondano, un monologo si svolge nei gesti e nelle parole di Enrico IV, sulla responsabilità e la vita stessa, dell'uomo. Il gioco più classico di Pirandello - l'uno nessuno centomila, le personalità rifratte e disperse, le tante verità simultanee - si fa qui estremamente solenne, serio, di un'alta malinconia.

Un commento
La bellezza dell'Enrico IV è nella estrema semplicità quasi casalinga del linguaggio rotto, spezzato, frastagliato e nella risonanza cosmica di quello che i personaggi dicono (Adriano Tilgher)

Fonte: Wuz.it

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