Gli affreschi di Nicolò Corso alle Grazie. Una guida alla lettura del più importante ciclo di affreschi della Liguria orientale

Piero Donati
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Editore: Giacché Edizioni
Collana: I tesori della provincia spezzina
Codice EAN: 9788886999434
Anno edizione: 2000
Anno pubblicazione: 2000
Dati: 24 p., ill.

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Descrizione

I monaci di Monte Oliveto si insediarono nell’isola del Tino e nell’insenatura delle Grazie con modalità del tutto analoghe a quelle che avevano connotato il loro insediamento a Quarto, primo convento da essi posseduto in Liguria. Qui essi erano ufficialmente entrati il 17 giugno 1389, incorporando una preesistente fondazione dei Gerolamini - da qui l’intitolazione a san Gerolamo del complesso conventuale - che era ridotta, a quella data, a due soli membri; allo stesso modo, il 2 maggio 1432 essi ottennero da Eugenio IV, da poco salito al soglio pontificio, l’abbazia benedettina del Tino, priva ormai di monaci, al cui vasto patrimonio fondiario si aggiungerà, nel 1441, quello dell’abbazia di San Venanzio di Ceparana. Eugenio IV, nello stesso atto di donazione concernente l’abbazia del Tino, riconobbe agli olivetani il possesso dello 'heremitorium cum eius ecclesia' intitolato alla Vergine delle Grazie ('Sancta Maria de Gratia nuncupatum') e posto nelle vicinanze di Portovenere ('iuxta opidum Portus Veneris'). Si rinviene qui la prima attestazione del toponimo Le Grazie e si ha inoltre la prova del fatto che la devozione alla Madonna delle Grazie non fu introdotta dagli Olivetani. Gli storici dell’arte, peraltro, hanno stabilito che l’immagine mariana che è testimonianza prima di tale devozione fu eseguita da Andrea de Aste nel terzo decennio del secolo XV e quindi prima dell’arrivo dei frati di Monte Oliveto. Come a Quarto, costoro non cercarono di obliterare il culto ricevuto in eredità ma lo riproposero all’interno del loro orizzonte devozionale; in termini architettonici, ciò significò l’inglobamento della chiesetta attestata nel 1432 - identificabile nel corpo di fabbrica a due campate che ospita oggi gli altari di Sant’Anna e di San Venerio – all’interno di un più ampio edificio ecclesiale (menzionato per la prima volta in un atto del settembre 1452) che è rimasto sostanzialmente intatto fino ai nostri giorni. Sono infatti ben visibili i costoloni, con relativi tondi serravolta figurati e peducci a piramide rovesciata, così come è ancora ben leggibile, nel vano absidale, il gioco delle vele, al quale fa eco, nella zona inferiore, la serrata scansione degli stalli del coro intarsiato, eseguito da Paolo da Recco fra il 1496 ed il 1501. Meno facilmente percepibile è l’antico assetto degli spazi del convento, e ciò a causa delle profonde (e talvolta irreversibili) trasformazioni subìte dall’edificio dopo il 1798, e cioè dopo il forzato allontanamento dei monaci. Benché i primi brani degli affreschi abbiano cominciato a riemergere nel 1902, occorre giungere fino al 1966 per assistere al passaggio della proprietà dell’immobile dai privati ad un pool di Enti Locali, mentre soltanto nel 1977 poté essere avviato, con fondi statali, il restauro delle decorazioni a fresco.

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