Scartoffie beneventane. Vol. 9: Finito il viceregno spagnolo si estinguono i de Guevara di Ariano e rinasce la vita nella ex Provincia dei palazzi prefettizi del Vaticano alimentando i filosofi di Chianche e la baronia dei Tocco senza S.Marco di Apice

Arturo Bascetta
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Editore: ABE
Codice EAN: 9788872974599
Anno edizione: 2023
Anno pubblicazione: 2023
Dati: 148 p., brossura

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Descrizione

I Mendoza avevano inaugurato la lista degli Spagnoli di stanza a Napoli, nel 1555, con Bernardino, il quale, nel sostare a Serino, aveva dato inizio alla luogotenenza del Viceregno (1555-1556) ormai nelle mani di un Filippo II (1527-1598), dopo il ritiro del padre Carlo V (1556) e il dietrofront di Papa Paolo IV (1558), sancito dalla pace di Cateau-Cambresis.1 Re Filippo aveva ereditato un impero immenso, che ancora doveva scoprire le Filippine (1556), nuove isole a lui dedicate. Napoli sembrava davvero destinata a restare un viceregno. Sedati i malcontenti, il Mezzogiorno fu completamente degli Spagnoli, nonostante i Vicerè salternassero una volta l'anno: Ferdinando Alvarez di Toledo, Duca d'Alba (1556-1558), Giovanni Manriquez di Lara (1558), Cardinale Bartolomeo della Cuera (1558-1559). In origine Re Filippo ebbe solo due reggenti per le province italiane, uno nell'ex Regno e l'altro nello Stato di Milano, quali rappresentanti del Consiglio di Spagna. Il Generale napoletano Ferrante Sanseverino (1507-1568 o 1572) era il più dispiaciuto di tutti. Il Re non gli aveva confiscato i feudi per un pelo, almeno all'inizio. Fin da quando ancora non aveva ereditato il titolo di Principe di Salerno, si era sempre battuto al suo fianco, insieme al padre, Pier Antonio, a sua volta figlio di Bernardino. Carlo V era stato la sua unica speranza. Ferdinando il primo ad essere presente a Bologna, alla incoronazione dell'Imperatore (1530), armando a proprie spese le galee scese fino in Africa per liberare Tunisi (1535) e combattendo duramente, durante la quarta guerra contro Francesco I, nella speranza che Carlo invadesse Napoli. Ma la flotta turca non riuscì a raggiungerli e il tentativo di destabilizzazione fallì. Lo gratificava però che Carlo V avesse accettato di fargli visita nei sui feudi, in Calabria come a Napoli, seguendolo nuovamente in Germania come in Francia. Sarà sempre un Sanseverino, il IV Principe di Salerno e XIII Conte di Marsico, Don Ferdinando detto Ferrante, barone di S.Severino, Cilento e S.Gabriele, sposo di Isabella Villamarina figlia di Bernardo Conte di Capaccio, destituito per tradimento con la confisca dei suoi feudi a cui seguì l'esilio in Francia. Ed è in Francia che il Principe, uno degli uomini più potenti del Regno, riprovò a salvare Napoli, mentre Carlo V ora pensava solo alla pace. Voleva e doveva dividere il Regno, concedendo Napoli e la Spagna a Filippo II e l'Impero a Ferdinando. Quando le cose precipitarono, a Ferrante, non restò che accettare l'accordo di pace fra i regnanti d'Europa e continuare a vivere in viaggio, fra una guerra e un esilio, allontanandosi dal Palazzo di famiglia. A Napoli però era riuscito ad organizzare una società accademica segreta per studiare le scienze e le arti utili in caso di guerra e di pace. Ma anche per essere sempre pronto a sfidare quel Re Spagnolo che proprio non gli andava giù. In un'epoca in cui le scienze guardavano alle stelle e il popolo aveva fame anche di sapere, quella scelta, francamente, gli sembrò solo un passo indietro. Sanseverino fu anche uomo di cultura. Amante del teatro, se ne fece costruire uno nel Palazzo di Napoli, ma diede soprattutto vita ad un movimento filosofico segreto per incontro di culture diverse avendo come obiettivo lo studiò dell'alchimia. Sono gli anni in cui sono ancora in fasce Domenico Aulisio (?-1713), Gaetano Argento (1661-1730), Giovan Vincenzo Gravina (1664-1718), Niccolò Capasso (1671-1745), Niccolò Cirillo. Non sanno cosa riserverà loro il mondo quando Giovan Battista Vico sarà da tutti ammirato, ma "da nessuno pienamente inteso".