Il marchesato di Atripalda, lo stato di Costantino Castriota Scanderbg: traduzioni edite e inedite da Eliseo Danza da Montefusco e Nicolò Franco Beneventano

Virgilio Iandiorio
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Editore: ABE
Collana: Marchioni d'Italia
Codice EAN: 9788872973615
Anno edizione: 2024
Anno pubblicazione: 2024
Dati: 132 p., brossura

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Descrizione

Ho suddiviso questo lavoro in due parti: 1) la lode della città di Atripalda, fatta dall'avvocato Eliseo Danza nella prima metà del XVII secolo; 2) le lettere di Nicolò Franco indirizzate, nella prima metà del XVI sec., a Costantino Castriota, marchese di Atripalda, a testimonianza degli interessi culturali che coinvolgono non solo quella nobile famiglia, ma anche la città. Nell'una e nell'altra parte, l'attenzione è rivolta alla città sul fiume Sabato. La sorte non fu benevola con i Castriota di Atripalda, perché nello spazio di mezzo secolo finirono tutti i discendenti. Le lettere di Nicolò Franco, ci restituiscono un personaggio che fece parlare di sé nella difesa di Malta dai Turchi; non solo, ma anche per i suoi interessi letterari testimoniati dalle sue pubblicazioni. Cinque secoli fa, il poeta e scrittore beneventano Nicolò Franco, per intingere la sua penna nella satira contro famiglie potenti del suo tempo, finì non in tribunale ma sulla forca a Roma per oltraggiose offese. Nel suo Epistolario, raccolta di lettere su vari argomenti indirizzate a personaggi noti e meno noti, un genere letterario molto in voga nel secolo XVI, l'autore beneventano ne scrive una indirizzata alla Lucerna, la lampada ad olio, con la preghiera di illuminare la sua esistenza con la luce della sapienza e della verità:" Deh cara lucerna mia, se iniquo vento non spiri mai contrario a la tua luce, e se con la vista ci sia concesso da i fati sormontare al cielo, al pari del più rilucente occhio, che tiene il giorno". Ma dove leggeva Scipione Bella Bona la perorazione di Eliseo Danza pro Atripalda città? Andavo ripetendo tra me e me, mentre sfogliavo i tomi del Tractatus (1) del Danza. Perché nei Ragguagli della città di Avellino (2), il Bella Bona ribatte punto per punto le tesi pro-Atripalda dell'avvocato di Montefusco, come se le avesse lì sotto gli occhi. Si tratta di una confutazione, ma molto garbata, che il Bella Bona scrive sull'attribuzione, per lui non dovuta, ad Atripalda del titolo di città. Questo titolo, come si sa, non l'hanno tutti i paesi, anche se oggi, quando lo usi in maniera impropria, nessuno ti viene a rimproverare. Ai giorni nostri siamo tutti caballeros. Eppure in un passato non molto lontano, c'era una gerarchia di titoli per classificare i nuclei abitati; e il titolo di città nel Regno di Napoli potevano vantarlo pochi di essi. E gli altri erano Terre, Castra, Oppida, Casali, Ville. Secondo il frate avellinese, Atripalda non poteva essere considerata città perché non ne aveva i titoli. E chiama in causa il suo comprovinciale e contemporaneo Eliseo Danza, stimato studioso del diritto e validissimo avvocato, che aveva espresso in una sua opera parere diverso. Ma non riuscivo a trovare in quale dei tre tomi del Tractatus il Danza aveva esposto queste sue valutazioni.

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