Il viceré di Benevento. Juan Alfonso Pimentel y Herrera, conte di Benavente (o Bonivente). Il palazzo reale, i ponti, le fontane e il castello di Baia. 1603-1610

Alfredo BarrellaArturo Bascetta
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Editore: ABE
Collana: Viceré di re Filippo II Asburgo Austria
Codice EAN: 9788872971574
Anno edizione: 2025
Anno pubblicazione: 2025
Dati: 144 p., rilegato

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Descrizione

Juan Alfonso Conte di Bonivento fu designato dal sovrano Fillippo III d'Austria a Viceré di Napoli, quale III prorex scelto dagli Asburgo per fare le veci della casa regnante (senza contare i luogotenenti nominati in loco durante i periodi di vacatio), in un periodo di grande turbolenza politica. Il suo incarico ebbe luogo in una fase in cui il Regno era sotto il controllo spagnolo. Sotto la sua amministrazione, Napoli, fu coinvolta in eventi di basso rilievo, sia sul piano politico che culturale, ma appariscenti. La sua figura non è associata a particolari gesta militari, ma piuttosto a un ruolo di mediazione e amministrazione del potere e dell'ordine, quello che cercava di mantenere in un periodo di grande instabilità. Gli stati dell'Italia imperiale del tempo erano influenzati dalle tensioni tra Spagna e potenze europee come la Francia, e questo ebbe un impatto diretto sulle politiche locali. Il Regno si presentava confuso, con strade malsane e gente povera, fra poveri e delinquenti, e prelati e chierici di Chiese corrotte, ricche d'argenti, con eremiti in corsa sfrenata sui monti, dove investire il patrimonio di famiglia. Dall'Incoronata a Cesarano fioriscono i nuovi cenobi dei nobili con confraternite intime, avverse ai papi e alla politica vicereale, sempre più opprimente per via delle tasse. Da Ostuni a Taranto i vecchi feudatari s'inventano la magna carta per alleviare i sudditi, che restavano servi, ma con vere regole, per scimmiottare le capitolazioni reali e le prammatiche vicereali che tardavano mettere in riga l'intero reame dal punto di vista strutturale, oltre che tassativo. Anche stavolta furono i balzelli, quelli imposti sul capo del terzo ceto, che finirono per moltiplicarsi per le esose richieste dell'Università comunale, dello Stato e della Chiesa, in un sovrapporsi di infiniti doversi rispetto a pochi diritti. Ma Napoli ha voglia di risvegliarsi e il Viceré rifà il Castello di Baia, la Piazza dove nascerà Palazzo Reale, fatto disegnare appositamente dal Fontana, inondando la città e la provincia di targhe, tabelle e marmi, murate sui palazzi, sulle fontane e sui ponti, a ricordo del nulla, con paragoni immaginari con i fasti romani, greci, e pagani. Intanto fioccano le monete false, chi le lima e chi le spaccia. L'avvocato Rovito eleva la classe avvocatizia e la Zecca ritira i soldi di latta, ristrutturando la chiesa dell'Odigitria, i Vergini, l'Ospedale di S.Giovanni. Perché questo Viceré non solo farà nascere un fortino all'Isola d'Elba e i ponti di Bovino, Benevento e Cava; ma darà vita ai giardini di Napoli: curerà l'acquedotto a S.Carlo all'Arena, la porta trionfale a Chiaia, il Palazzo di Porta Reale per inserrare il grano. Poi ci sono le feste per i nobili e le accensioni di fuochi notturni e fuochi d'artificio in continuazione per il popolino, a ogni lieta notizia che giungesse dal trono imperiale d'Austria o dal trono reale di Spagna. L'incarico finirà comunque inesorabilmente a duello, sull'Isola di Procida, con una scaramuccia provocata dal giovane figlio del Viceré, ora costretto a lasciare Napoli con l'infamante accusa di aver impoverito la città e il Regno. E così anche questo generale, dopo aver condannato a morte un asino e il suo padrone, registrò la propria fine, alquanto indegna, per aver reso potente solo il figlio e i due compari.

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