La grotta delle veneri di Parabita (Lecce)

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Editore: Edipuglia
Collana: Biblioteca archeologica
Codice EAN: 9788872289372
Anno edizione: 2020
Anno pubblicazione: 2020
Dati: 204 p., ill., brossura

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Descrizione

La Grotta delle Veneri divenne nota nella letteratura paletnologica in seguito al rinvenimento, al suo interno, di due statuine femminili dette Veneri: da qui il suo nome. Ma non solo: la sua importanza risiede anche nella frequentazione ininterrotta che la vide occupata dal Paleolitico medio fino all'età del Bronzo senza soluzione di continuità. Un periodo lunghissimo nel corso del quale si sono avvicendati tutti gli aspetti della preistoria meridionale, lasciando in essa tracce cospicue della loro presenza. All'inizio ci fu l'uomo di Neanderthal con la sua cultura, il Musteriano (80.000-35.000 anni fa), seguito da una fase di transizione detta Uluzziano che segna l'arrivo del Sapiens con le diverse fasi del Paleolitico superiore (35.000-10.000 anni fa): il Gravettiano, l'Epigravettiano antico e a foliati, l'Epigravettiano finale o Epiromanelliano. Durante il Gravettiano furono inumati insieme un uomo e una donna con uno scarno corredo costituito da un ciottolo e un raschiatoio tinti di ocra e un copricapo fatto con canini atrofici di cervo. Alla fine del Paleolitico superiore gli abitanti della grotta incisero una grande quantità di ossa e pietre, circa 500, con una sintassi geometrico-lineare allora in voga in Italia e in Europa. È una delle espressioni artistiche del Sapiens il cui significato è per noi incomprensibile, al pari della grande arte "naturalistica" che aveva dipinto sulle pareti di molte grotte animali quali bisonti, cavalli, cervi, leoni dall'indubbio contenuto simbolico. Con l'arrivo del Neolitico (VI-IV millennio a.C.) cambiò la vita dei cacciatori-raccoglitori: alla caccia si sostituì un'economia basata su agricoltura e allevamento, che richiese una nuova suppellettile come contenitori in ceramica, strumenti levigati e non solo scheggiati come asce e accette insieme a oggetti di carattere cultuale quali le pintadere, specie di timbri per tatuare o per imprimere marchi. Nacquero nuovi riti e credenze, si affermò una religiosità di tipo agrario con al centro il protagonismo della Terra da cui dipendono le sorti delle creature viventi. La grotta ha restituito tutti gli aspetti della ceramica neolitica dalla impressa agli stili dipinti fino alle fasi finali di Serra d'Alto e Diana. In essa si svolsero riti come lo scavo di buche, una delle quali intercettò la sepoltura paleolitica, offerte di oggetti pregiati e di vasi finemente decorati. Nel corso del Neolitico si sviluppò una rete di rapporti, grazie anche alla navigazione, che permise scambi e contatti con le regioni affacciate sul Mediterraneo, creando un mondo interconnesso che caratterizzerà anche i periodi successivi. Con l'Eneolitico (IV-III millennio a.C.) si diffusero nuove fogge e nuovi costumi funerari: molte grotte divennero sedi di sepolture collettive e una nuova tipologia vide la nascita di seppellimenti sotto tumulo dove, accanto all'inumazione, veniva praticata l'incinerazione. Le forme ceramiche sono ispirate agli aspetti classici di Gaudo e Laterza con interessanti rimandi alla cultura transadriatica di Cetina. Nel II millennio continua la frequentazione della grotta ma con un carattere più dimesso e una suppellettile di uso quotidiano come grandi contenitori e attrezzi per la lavorazione del latte quali i bollitoi. Si conclude così la vicenda millenaria di Grotta delle Veneri, punto di riferimento per le genti che di volta in volta popolarono il territorio, incubatrice di miti e credenze con cui nutrì la vita di intere generazioni dando loro un senso, una memoria da tramandare e una storia da raccontare.