Leardo è re

Tinin MantegazzaGiovanni NadianiGiampiero Pizzol
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Editore: Italic
Collana: Pequod
Codice EAN: 9788869741425
Anno edizione: 2017
Anno pubblicazione: 2017
Dati: 85 p., brossura

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Descrizione

L'idea di un'ospitalità romagnola per le opere shakespeariane è di Tinin Mantegazza, disegnatore e scrittore ligure innamorato dell'Adriatico, che dal suo terrazzo di Cesenatico vedeva l'insegna dell'Hotel Britannia. Per la sua mente fervida è stato facile leggere sui muri dell'Hotel la storia di un Re degli albergatori con tre figlie, cui lasciare l'impero economico turistico costruito dal dopoguerra in poi facendo affari con tutti a partire dagli anglo-americani. Ecco King Lear, ovvero LEARdo e' Re, tragedia anglo-romagnola. Il soggetto era pronto, ma a dar parole al personaggio serviva un funambolo del verbo romagnolo. Ecco dunque Giovanni Nadiani, poeta e traduttore che ha forgiato un linguaggio inedito, fatto di una lega preziosa di inglese e romagnolo, con uno humor a volte malinconico, a volte esilarante, tragico e comico come la vita stessa. Il Re è uno dei tanti barboni che naufragano nei bar delle spiagge adriatiche e raccontano storie, mescolando fatti e fantasie, accompagnato dal fedele amico Cin Cin, un buffone da osteria - una coppia che ricorda due clowns felliniani, scatenati nel circo degli eventi. Ma per dare azione alla parola, ecco Giampiero Pizzol, attore, cabarettista e scrittore che, nei panni di Leardo, ha ripercorso la strada dei versi shakespeariani riportando alla luce i vari personaggi: Rosilda, regina della cucina e del cappelletto in brodo, le figlie Reganda, Gonilde e Cordelia, il Bagnino del Bagno Francia e altri ancora. Assieme a loro, ecco prendere corpo le principali situazioni in cui precipita il Re: il testamento, i viaggi, la tempesta, il processo, la locanda, la brughiera e infine il mare a cui tornare, il mare a cui parlare, il mare in cui è dolce naufragare. Perché il peggio che possa capitare è non aver mai parlato di nulla con nessuno, essere senza lingua e linguaggio, sconosciuti a se stessi e agli altri, "senza arcnòsar piò incion, senza che incion u s'arcurda piò gnit d'incion".