Gli strumenti umani

Vittorio Sereni
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Editore: Il Saggiatore
Collana: La cultura
Codice EAN: 9788842825241
Anno edizione: 2018
Anno pubblicazione: 2018
Dati: 154 p., rilegato
Disponibile anche in eBook a € 9,99

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Descrizione

La carrucola nel pozzo, la spola della teleferica nei boschi. I minimi atti, l'opaca trafila delle cose mute che cadono nel mondo, come una lenza buttata a vuoto nei secoli, un amo a precipizio nei millenni. Sono infiniti gli strumenti umani, e sono cosa da poco, sono cosa da nulla. La loro storia ingombra la vita dell'uomo, ma nella parabola dell'esistenza (visibile e invisibile) dura appena pochi istanti, lo scampolo di tempo che separa una curva di montagna dalla svolta successiva. Poi la memoria li inghiotte, il paesaggio li trascolora in una fotografia già vecchia, già perduta. È questo, tra i molti, il sentimento che anima "Gli strumenti umani" di Vittorio Sereni, terza raccolta di uno dei maggiori poeti italiani del Novecento, che ne segnò il ritorno editoriale, dopo il silenzio quasi ventennale da "Diario d'Algeria". Una geografia esistenziale, quella puntellata dai versi degli Strumenti umani, in cui è necessario muoversi con passo bustrofedico, con il garbo dell'ospite indiscreto, eppure con la gioia ardente di chi scopre qualcosa che d'improvviso sente familiare da sempre. Una poesia sospesa tra l'erranza della materia e la rivelazione del vuoto, continuamente forata dai disvelamenti e dalle epifanie, dai segreti umbratili delle scorze dure che compongono il pianeta. E dai riverberi di una eco letteraria che si fa approssimazione e presenza nella lingua di Sereni, evocando oscuramente i purgatori di Dante e le rime in morte di Laura, la melma nera di Montale e la noja leopardiana, di cui gli "Strumenti umani" non sono la somma, ma la infiorescente decomposizione, stretta nella vite di una sizigia immortale. Borbottii, vibrazioni, gorgoglio di voci confuse. È la lingua con cui parlano gli strumenti umani. Un alfabeto segreto che non si può tradurre o imparare, ma solo ascoltare, ferocemente straniero, inaspettatamente amico, nel segmento bianco che spezza le cartilagini di ogni poesia.