Lingue oscure. L'arte dei furfanti e dei poeti

Daniel Heller-Roazen
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Traduttore: Giuseppe Lucchesini
Editore: Quodlibet
Collana: Saggi
Codice EAN: 9788822902788
Anno edizione: 2019
Anno pubblicazione: 2019
Dati: 237 p., ill., brossura

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Descrizione

Sembra incontestabile che il linguaggio serva a comunicare, ma la parola può assolvere anche un’altra funzione: quando è necessario, essa confonde e occulta. Lo sanno gli adulti e i bambini, i filologi e i banditi: tra le facoltà implicite del linguaggio, c’è quella di smontare e ricostruire una lingua per farne un idioma nuovo, sconosciuto, accessibile soltanto a pochi.

«Solo il verso ispirato funzionerebbe da antidoto contro il lavoro linguistico che caratterizza l'automatismo del call center e le ingegnose peripezie della formazione permanente. In un panorama così intricato l'ultimo libro di Daniel Heller-Roazen è uno strumento formidabile, che si serve di una splendida silloge di esempi - Marco Mazzeo, Alias

«Leggendo "Lingue oscure. L'arte dei furfanti e dei poeti" viene un forte desiderio di dedicarsi a studi di letteratura comparata e una subitanea invidia per chi, come lui, lo può fare con il profitto e il divertimento che da questo libro in più punti saltano fuori» - Azione

«Lo studioso si inoltra in idiomi, vernacoli e codici che fanno parte della storia passata, e lo fa con acribia filologica.» - la Stampa

È dal Quattrocento, in Europa, che si attestano le prime lingue intenzionalmente segrete. Sviluppate da malviventi e briganti, queste si diffusero in tutti i volgari moderni: dal gergo dei banditi francesi al thieves’ cant dell’Inghilterra rinascimentale, dal dialetto dei ladri denunciato da Martin Lutero ai furbeschi degli imbroglioni italiani, portoghesi, spagnoli. Ma l’arte di forgiare parole impenetrabili risale molto più indietro nel tempo, e non è sempre stata legata a tali equivoche finalità. In India, nell’antica Grecia e a Roma, in Provenza e in Scandinavia, cantori e scribi si sono appropriati delle lingue intorno a loro e le hanno alterate, non per ingannare, bensì per rivelare e tramandare un’entità sacra: l’idioma degli dèi, del quale i veri maestri – così si diceva – erano i poeti e i sacerdoti. Lingue oscure si destreggia abilmente tra questi multiformi linguaggi ermetici. Dall’argot criminale al gergo degli spiriti, dal lavoro di Saussure e Jakobson sugli anagrammi e le strutture subliminali nella poesia, fino al codice segreto che il dadaista Tristan Tzara pretendeva di aver scoperto nelle opere di Villon, Lingue oscure esplora le arti condivise da furfanti ed enigmisti che seppero giocare a scacchi col suono e col senso delle parole.