"Der Welt Lohn" (eBook)

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Fritz Hubertus Vaziri
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Lingua: TED
Editore: GRIN Verlag
Codice EAN: 9783640138135
Anno pubblicazione: 2008
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Descrizione

Studienarbeit aus dem Jahr 2007 im Fachbereich Germanistik - Ältere Deutsche Literatur, Mediävistik, Note: 1,0, Freie Universität Berlin (Institut für Deutsche und Niederländische Philologie), Veranstaltung: Gefühlsmanagement in der Kleinepik Konrads von Würzburg, Sprache: Deutsch, Abstract: Kann das Christentum als Angstreligion bezeichnet werden? Diese Frage umfassend und differenziert beantworten zu wollen, würde zweifellos den Rahmen einer Arbeit wie der hier vorliegenden bei Weitem sprengen. Zunächst müsste im Zusammenhang mit einer solchen Fragestellung geklärt werden, was denn überhaupt unter Christentum verstanden werden will, mit welcher Auffassung von Christentum in seinen vielgestaltigen Erscheinungsformen und Ausprägungen also gearbeitet werden soll, bevor eine eventuelle Verbindung zum Thema Angst untersucht werden könnte. Auch wenn eine vollständige Beantwortung der Eingangsfrage an dieser Stelle nicht zu leisten ist und ein zu ehrgeiziges Anliegen wäre, soll zumindest ein Teilaspekt derselben auf den folgenden Seiten aufgegriffen werden. Als Untersuchungsgegenstand wird hierfür ein Werk aus der Kleinepik Konrads von Würzburg herangezogen – die Erzählung „Der Welt Lohn“. Diese soll unter dem Gesichtspunkt eines möglichen Konnexes zwischen Christentum und Angst genauer in Augenschein genommen werden, um somit einen Ausschnitt im weitaus größeren Komplex des Themas zu beleuchten. Der Erzähler des hier behandelten „mære“ macht gleich zu Beginn deutlich, an wen sich seine Erzählung richtet – „ir werlte minnære“ –, bevor er ab Vers 4 mit der descriptio des vermeintlich idealen Ritters beginnt. Darin ist u.a. die Rede von einem „ritter […] der nâch der werlte lône […] ranc beidiu spâte unde fruo“ und „hæte werltlîchiu werc gewürket alliu sîniu jâr“. Dieser „hôchgelobte“ sitzt in „einer kemenâten“, vertieft in die Lektüre eines Buches „dar an er âventiure vant von der minne geschriben“ als ihm der weibliche Inbegriff seiner Träume begegnet, „ein wîp nâch sînes herzen ger ze wunsche“. Der Ritter ist bereit, ihr mit „herze“ und „lîp […] ze dienste“ zu sein, „ûf“ seines „tôdes zil“. Auf seine Frage nach ihrer Identität gibt sie ihm zu verstehen: „diu Werlt bin geheizen ich“ und dreht ihm den Rücken zu. Der eben noch zu allen Diensten bereite Ritter gelangt ob des Anblicks, der sich ihm darbietet zu der Erkenntnis, „er wære gar verwâzen, swer sich wolte lâzen an ir dienste vinden“ – in seiner Abneigung unterstützt durch die erzählende Instanz: „daz si von mir verbannen und aller cristenheite sî!“