Attìa e la guerra dei gobbi. Imprese et mirabilie di un eroe siciliano in difesa della sua terra invasa dai barbari

Isidoro Meli
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Editore: Sperling & Kupfer
Collana: Frassinelli narrativa italiana
Codice EAN: 9788893420372
Anno edizione: 2018
Anno pubblicazione: 2018
Dati: 301 p., rilegato

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Descrizione

Un romanzo che dà spazio ai quattro uomini dimenticati dalla storia che tentarono di rapire la donna di Garibaldi.

"I poveracci dovrebbero unirsi e protestare, in nome del progresso. Qualche volta è accaduto. Dopo avere eliminato i capi, però, non hanno concluso niente. Non hanno mai saputo organizzarsi. Sorpresi dalla nuova condizione, dalla liberazione delle terga da certi gravami, e terrorizzati dall'idea di tornare schiavi, loro e le terga, si sono lasciati andare a diffidenza e a vittimismo, e si sono disuniti. Allora il potere ha ripreso le redini e i poveracci hanno ripreso a prenderlo nel culo, scoprendo così quanto può essere efficace e dolorosa la forza dell'abitudine."

«La notte del primo marzo 1860 quattro uomini salparono da Palermo alla volta di Caprera per rapire la donna di Giuseppe Garibaldi. Nessuno di loro aveva progettato il viaggio, né scelto liberamente di prendervi parte: il loro coinvolgimento fu una conseguenza del bizzarro dipanarsi degli eventi. L'ideatore del viaggio si chiamava Francesco Landi, aveva l'appellativo di "Generale", ed era uno dei massimi rappresentanti del potere borbonico in Sicilia. In cambio della liberazione della donna, sosteneva, avrebbero costretto Garibaldi a rinunciare all'impresa dei mille. Questo in teoria. Le cose andarono diversamente. Garibaldi sbarcò a Marsala con mille uomini e conquistò tutta la Sicilia, poi attraversò lo stretto e conquistò il restante regno di Francesco I di Borbone, passando alla storia. I quattro uomini salpati alla volta di Caprera invece non passarono alla storia. Della loro esistenza non v'è traccia da nessuna parte e non esiste un solo libro che accenni in qualche modo alla loro missione, a parte poche pagine del diario di viaggio di uno di loro, il soldato semplice Salvatore Paradiso. Eppure, ai loro tempi erano famosissimi. Le loro gesta ispirarono una canzone che fu un grande successo in tutta la nascente nazione per quindici anni e più, prima di cadere nel dimenticatoio. Evento ancora più bizzarro: la canzone fu scritta prima ancora che i fatti raccontati fossero effettivamente avvenuti. Come se si trattasse del canto di un antico veggente. Quella canzone l'ho scritta io. Facevo il cantastorie, poi sono morto.»